Nelle organizzazioni non profit, in particolare nelle cooperative sociali, l’obiettivo più alto, ma anche quello più nascosto, è la produzione di cultura, cultura ad avere cura di sé, cultura al rispetto, cultura della diversità, cultura dell’accoglienza.
C’è, d’altro canto, un punto vuoto nel lavoro sociale, una sorta di zona d’ombra dovuta alla scarsa attitudine alla scrittura, alla comunicazione, alla condivisione, alla partecipazione, tutte cose che sono le basi, le fondamenta del lavoro sociale e che ogni operatore maneggia con grande destrezza nel proprio quotidiano lavorativo ma che poi non trovano raffigurazioni all’esterno.
Perché?
Quali resistenze inibiscono la traduzione del fare concreto in percorsi di ricerca e approfondimento culturale, di ridefinizione dell’azione e dell’intervento? Quali ragioni impediscono il circolo virtuoso prassi – teoria – prassi, dove il ponte teorico diventa momento cruciale nel passaggio dal mero operare all’agire culturalmente orientato, e dove l’ultimo termine non è più identico al primo, bensì profondamente modificato in termini di consapevolezza e complessità. Esiste una sorta di pudore, un sentimento di riserbo, di rispetto per la sfera più privata delle persone e dei rapporti interpersonali.
Nel ripensamento delle politiche sociali, nella progettazione, nella ricerca sociale, è previsto un ruolo attivo-propositivo per coloro che stanno a diretto contatto con i “titolari della sofferenza”? Oppure ci troviamo di fronte ad un processo “a cascata”, che provoca e alimenta un dislivello incolmabile tra chi pensa, pianifica, delibera e chi fa, esegue, attua.
Finora non è stata sufficientemente disegnata e sviluppata, per esempio, l’ integrazione dei servizi sanitari con quelli sociali, e le competenze di supporto per i cittadini sono distribuite su Istituzioni diverse non sempre in colloquio sintonico tra loro (ASL, Distretti, Comuni, Cooperazione sociale e Volontariato), il che determina l’incapacità del sistema di offrire risposte efficaci ai problemi associati alle fragilità.
È appurato come l’integrazione tra queste istituzioni sia elemento cruciale per qualsiasi efficace intervento orientato al sostegno delle persone in difficoltà.
SISTEMA QUALITÀ
Il Sistema Qualità adottato dalla cooperativa mira al miglioramento continuo ed è concepito e strutturato specificatamente per assicurare una qualità dei servizi adeguata alle esigenze del cliente e supportare il miglioramento dei processi critici ai fini della qualità percepita dal cliente.
L’implementazione del sistema di gestione per la qualità nell’organizzazione è continua e sviluppa un miglioramento continuo.
Scopo del sistema Qualità è dare evidenza (a componenti dell’organizzazione e a terzi) della capacità dell’organizzazione:
- di progettare ed erogare i servizi di assistenza e cura per gli anziani comprendendo le esigenze delle persone secondo adeguati standard di qualità, rispondendo in modo efficace alle esigenze di cambiamento;
- di garantire il rispetto delle normative cogenti applicabili;
- di migliorare continuamente i propri processi e quindi garantire la continuità della propria presenza sul mercato;
- di accrescere continuamente la soddisfazione del cliente tramite l’efficace applicazione del sistema, perseguendo non solo l’obiettivo del miglioramento della prestazione tecnica, ma considerando tutti gli aspetti e le fasi del rapporto con le persone.
La qualità della vita che andiamo predicando come obiettivo del servizio alle persone che assistiamo, proprio perché cooperativa sociale, la assumiamo come responsabilità nei confronti di tutti i soci e i dipendenti della cooperativa.
Un esempio, gli anziani ospiti del servizio Centro Diurno Anziani Fragili, nell’ambito delle attività cognitive, hanno elaborato e svolto una intervista al presiedente della cooperativa, su come è nata la cooperativa, sul suo ruolo, su come funziona la gestione del centro e quella della cooperativa, su quale è il “clima” tra tutti i componenti soci e non che lavorano in cooperative, ecc… Per finire le ultime due domande sono state: “Perché non pensate di aprire una casa dove noi utenti potremmo andare a riposare?” E l’altra: “Perché non pensate di aprire una casa famiglia dove inserire un gruppo di anziani sufficientemente autonomi con il supporto di operatori?”. È un passaggio importante, gli utenti non più attori passivi di interventi, ma soggetti attivi del proprio progetto di vita, non più utenti passivi in un’ottica di assistenzialismo. Capaci di esporre ipotesi di finanziamento e consigli organizzativi. Persone con una volontà di partecipare, che si riconoscono cittadini con diritti e doveri nei confronti della comunità.
Il nostro successo, e quindi segno di “qualità”, è nell’aver favorito a mantenere e/o creare:
- percezione di stima e rispetto;
- consapevolezza che al verificarsi del bisogno qualunque esso sia, esiste un aiuto concreto, immediato, umano e personalizzato;
- di non essere soli di fronte alle difficoltà e all’imprevisto;
- possibilità di richiedere ed ottenere un intervento urgente, qualificato per emergenze e situazioni di bisogno;
- la garanzia di permanenza nell’abitazione che significa mantenere il proprio ambiente domestico, abitudini consolidate, ricordi, ecc. e le relazioni sociali costruite nel quartiere;
- migliorare il rapporto tra cittadini ed istituzione.
La qualità è un processo, è una metodologia, un obiettivo, che prevede la condivisione di valori, la conoscenza delle persone e di se stesso, la volontà di condividere i propri punti di forza e di debolezza.